Gran Rifiuto – Don Remo Ceol (Gorizia)

L'Aquila, Basilica di S.Maria di Collemaggio: affresco nascosto dietro il coro ligneo. L'opera è della prima metà del '400. Si osservi la simmetria tra Celestino e l'Arcangelo Michele e tra l'abito papale e il drago, nonché la particolarità che sulla croce manca un chiodo (a simboleggiare, forse, quello usato per uccidere Celestino?).  (Rivisitazione pittorica di Roberta Laneve)Avendo letto la “Pagina Celestiniana” del n. 171 di QUALEVITA mi sono ricordato di aver letto nella Divina Commedia a cura Natalino Sapegno la nota a “Colui che fece per viltade il gran rifiuto”, nella quale si mette in dubbio che questa espressione sia riferita a Celestino V.
Dato che continua ad essere diffusa e scontata questa interpretazione, colgo l’occasione per condividere questa critica del Sapegno, nella speranza di contribuire ad interpretare meglio il pensiero di Dante.

 

Colui che fece per viltade il gran rifiuto. (Nota 59)

Molti fra i commentatori più antichi riconoscono in questa figura l’eremita, Pier da Morrone, che divenne papa nel luglio del 1294 col nome di Celestino V e cinque mesi più tardi rinunziò all’ufficio, giudicandosi privo delle qualità occorrenti al governo della Chiesa; abdicazione che aprì la strada alla contestata elezione di quel Bonifacio VIII, in cui Dante riponeva la principale causa della rovina di Firenze e sua. A questa opinione aderiscono il Bambaglioli, Iacopo della Lana e, con qualche incertezza, l’Ottimo, il Buti, l’Anonimo fiorentino, il Boccaccio (quest’ultimo però dichiara: «Chi costui si fosse, non si sa assai certo»). Da questa interpretazione del luogo dantesco dipendono inoltre gli accenni di qualche scrittore trecentesco, da Nerio Moscoli a Fazio degli Uberti, dal vicentino Ferreti al Sercambi.
Pietro di Dante, che in un primo tempo aveva aderito all’opinione comune, più tardi la rifiutò  proponendo il nome dell’imperatore Diocleziano.Più risolutamente Benvenuto si oppone a questa spiegazione, e propone il nome di Esaù che rinunciò al diritto di primogenitura in favore di Giacobbe.
Sta di fatto che sembra assai strano che Dante s’accanisse con tanto disprezzo contro un uomo come Celestino V, al quale i contemporanei diedero piuttosto fama di santità (e fu canonizzato nel 1313), e proprio per un atto che, comunque se ne valutassero le conseguenze storiche, non poteva ad ogni modo esser qualificato di vile rinunzia, anziché di consapevole scelta e di ferma valutazione delle proprie doti e limiti.

S’aggiunga che i nemici di Bonifacio VIII, tra i quali era anche Dante, tendevano semmai ad esaltare Celestino come santo in contrapposto al papa politico, che, dopo averlo spinto e quasi costretto ad abdicare, lo perseguitò. Inoltre, se anche a Dante fosse rimasta ignota la bolla di canonizzazione, o se pure avesse scritto questa pagina, come è possibile, prima che quella fosse promulgata, resta vero che la fama e il culto popolare del santo erano cominciati subito dopo la morte di lui (cfr. G. FERRETTI, Saggi danteschi, Firenze 1950, pp. 43-60; G. PETROCCHI, in Studi romani, III, 1955, e in Lettere italiane, IX, 1957). L’identificazione rimane dunque assai incerta, anche se trova ancora fervidi sostenitori (vedi B. NARDI, Dal Convivio alla Commedia, Roma 1960, pp. 315-30; G. PADOAN, in Studi danteschi, XXXVIII, 1961, e in Giorn. st. d. letto ital., XXXIX, 1962). Tra tutti gli altri nomi proposti quello di Pilato sembra senz’altro il più attendibile, perché il suo gesto di viltà, sia per la gravità intrinseca, sia per la rinomanza proverbiale che ne venne a chi l’aveva commesso, è il solo cui s’adatti appieno la qualifica, di gran rifiuto.

Del resto, a guardar bene, la questione così a lungo dibattuta appare irrilevante. La figura dell’innominato non ha nel contesto un suo risalto specifico; è piuttosto un personaggio-emblema, termine allusivo di una disposizione polemica, che investe non un uomo singolo, ma tutta la schiera innumerevole degli ignavi.

(Dalla Divina Commedia a cura di Natalino Sapegno- Fabbri editore, 2006).

Don Remo Ceol – Gorizia

Un commento:

  1. PASQUALE IANNAMORELLI

    Chiunque attribuisca a VIGLIACCHERIA o pusillanimità la decisione di fra’ Pietro dell’abbandono della carica pontificia, NON CONOSCE la vita di quest’uomo sempre improntata a scelte audaci e coraggiose Mi permetto di suggerire la lettura del volume di Lelio Marini di cui si parla in questo sito. Ho saputo che il curatore e anima di questo spazio web ha intenzione di riportare ampi brani della vita di fra’ Pietro ripresi proprio dal Marini. Mi auguro che ci sia una serrata interazione con i lettori e conoscitori della figura emblematica di fra’ Pietro/Celestino V.

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