Suicidio e Preghiera (Seconda parte)

SUICIDIO E PREGHIERA

 

(tratto da: Giuseppe Capograssi, La vita etica,

Bompiani, Milano 2008, pp. LV + 1340.

Il brano che riportiamo e’ alle pp. 176-216)

 

 

 

 

2.

Qui si verifica nella storia la misteriosa apparizione di Cristo. Dio si rivela come misericordia. La sua onnipotenza si rivela «parcendo maxime et miserando» la terribile avventura umana. E si apre in atti di incredibile amore, entra nella carne umana, diventa uomo, affronta le prove mortali della vita e della storia, sale sulla croce ed espia il male del mondo con espiazione infinita. E quando sta sulla croce trae a sé tutte le cose; lascia agli uomini il suo spirito, che è lumen cordium, il solo lume che hanno i cuori; seguita a parlare parole di vita nella sua Chiesa; seguita a sacrificarsi sugli altari della sua Chiesa, e a patire nei patimenti dei suoi fratelli e della sua Chiesa; ad agonizzare sino alla fine del mondo nell’agonia dei suoi figli, di cui è il capo e che sono il suo corpo. L’abisso tra Dio e l’individuo, la distanza infinita tra la santità sussistente e la vita individuale fatta di male e di morte si colma. Dio sceso tra gli uomini come fratello tra fratelli, accollandosi sulle spalle il peso del male e dell’espiazione, dando ai suoi fratelli i misteriosi mezzi del suo amore per spegnere la loro malizia e sostenere la loro debolezza, riporta – attraverso il suo sacrificio e la sua morte e la continua crocifissione della sua Chiesa – la creazione, cioè le creature razionali, amanti e dolorose, ed anche le altre creature, di cui San Paolo sentiva i gemiti inesprimibili, a Dio, con una specie di circolo, per cui la creazione, nata da Dio ritorna, per la via del  sacrificio di Dio, a Dio. La carità infinita di Dio; il mistero della creatura libera che se ne stacca cade nel male, e diventa preda della morte e non ha né forza né lume per redimersi; e la infinita pietà con cui Dio si piega a raccogliere il povero individuo agonizzante nella storia, di cui nessuno ha pietà e tanto meno egli stesso l’individuo; questo diventa l’affermazione di Dio con Cristo. La fede diventa assolutamente semplice: credere che Dio ama dell’amore infinito, che è proprio suo, che è proprio se stesso, gli uomini.

Quello che è veramente incredibile, è che questa incredibile affermazione, e la serie di prodigi che vi corrisponde, sia veramente stata creduta, sia entrata nella storia, abbia acquistato certezza nell’animo degli uomini, abbia creato una grandiosa istituzione e una grandiosa esperienza, sia stata e sia vissuta come fatto centrale della storia, luce, consolazione e legge per le anime più umili e per quelle più alte, principio di vita delle più alte civiltà umane. Non si tratta di una filosofia: si tratta di una nuova vita che è entrata effettivamente a dilatare la chiusa e mortale vita di desiderio senza speranza del cuore umano.

E il più paradossale è che questa stessa religione non ha nascosto in nulla la incredibile follia, come essa stessa ha detto, della sua predicazione; l’ha accentuata, l’ha gettata in faccia alla saggezza e alla ragionevolezza umana, e quasi si direbbe si è vantata della sua follia. E se ne è vantata sotto tutti gli aspetti, che essa prende. Una follia proporzionata a Dio, la follia di Dio il quale per amore cede, quasi si oserebbe dire, al finito, diventa il Dio annientato e crocefisso che è Cristo, l’incredibile prodigio di Dio che si rinchiude nella prigione della carne, del finito, della povertà, della morte e della tomba con una inaudita contrarietà a tutto quello che vuole la saggezza umana, e a tutto quello che vale per la saggezza umana. E nemmeno questa religione ha illuso gli uomini assicurando loro un vittorioso avvenire nel tempo: quasi si proponesse di scoraggiare il coraggio degli uomini, non ha nascosto, anzi ha promesso le continue crocifissioni e persecuzioni dei suoi fedeli e della sua Chiesa, che avrebbero composto l’avvenire; ha detto chiaro, che «tradent vos in tribulationem et occident vos; et eritis odio omnibus gentibus propter nomen meum». E per completare l’assicurazione delle rovine e delle crocifissioni, che prometteva nel tempo, ha disegnato la profezia degli ultimi momenti della storia nei quali «nisi breviati fuissent dies illi, non fieret salva omnis caro». E nemmeno questa religione ha illuso gli uomini con una morale adeguata alla loro saggezza; ha predicato la morale invece adeguata a questa follia e di pari follia. Secondo la più profonda delle profezie, la superbia dei sapienti è dissipata, la forza dei potenti è deposta e la sazietà dei ricchi diventa inane. Sapienza, potenza e ricchezza sono la saggezza del mondo: l’opposto è stata la vita dell’uomo Cristo, il quale nella sua azione e nella sua vita ha dato la perfetta legge della nuova etica. Dio diventa la vita dell’animo, raccolta nell’unico e puro amore di Dio e degli uomini in Dio; e quindi una inestinguibile aspirazione alla purezza e alla povertà, come spogliamento assoluto di ogni avere e perfino e soprattutto del proprio volere, in una crocifissione interiore che è tutta l’essenza di questa morale, entra nell’anima umana. E ne nasce una nuda morale, di una perfetta adesione alla vita come amore di Dio e degli altri, e di un perfetto distacco dalla vita come sacrificio per Dio e per gli altri; di un totale volere la creazione, e di un totale rinunziare alla creazione: quel paradossale nodo di viventi e coesistenti contraddizioni, che San Paolo ha espresso con accenti rimasti unici, ma che tutti quelli che seguono questa chiamata sperimentano incessantemente nella loro più segreta esperienza: «ut seductores et veraces; sicut qui ignoti et cogniti; quasi morientes et ecce vivimus; ut castigati, et non mortificati; quasi tristes semper autem gaudentes; sicut egentes, multos autem locupletantes: tamquam nihil habentes et omnia possidentes». 2Co 6, 2-10)

Un grande spirito, che tutta la sua vita di pensiero ha passata sentendo l’incanto di questa incredibile storia, e cercando di risolvere questa storia in una prodigiosa costruzione di fantasia speculativa, ha chiamata questa religione la religione assoluta. E tale essa è perché rivela la vita profonda e interna di Dio, perché rivela la connessione essenziale tra Dio e il mondo («in propria venit»), fissa il problema della vita come problema della salvezza dal male e dalla morte, e lo risolve con la collaborazione di Dio e dell’uomo, nella quale il dolore e la speranza dell’uomo mista al patire di Dio, vincono il male e la morte.

 

Seguira’ terza parte ( di 7): 

Suicidio e Preghiera (terza parte)

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