SUICIDIO E PREGHIERA
(tratto da: Giuseppe Capograssi, La vita etica,
Bompiani, Milano 2008, pp. LV + 1340.
Il brano che riportiamo e’ alle pp. 176-216)
3.
Ma l’uomo può negare e nega anche questa religione assoluta. Si può anzi dire, che riserva tutte le sue forze di resistenza e di negazione per questa religione assoluta. Qui l’individualità si rivela nella sua più impenetrabile essenza. Rivelatosi Dio nella sua vita, entrato Dio come uomo nella vita e nella storia, nata una promessa che supera ogni promessa, si direbbe che l’uomo si rivela anch’esso nella sua insospettata capacità di affermazione e di negazione, nella insospettata energia del suo coraggio, nell’abisso, parola che non è un’immagine, del suo cuore. Accetto la promessa di Dio; e questo è meraviglioso, perché è una promessa fondata sopra prodigi di amore incredibili in termini umani. Non accetto la promessa di Dio e questo è meraviglioso, perché dico di no alla speranza, che sono andato e vado cercando per tutta la mia esperienza!
Ma quello che è singolare è che, accetti o non accetti, la mia vita non è più come era prima di questa religione assoluta e la sua rivelazione di follia: ormai tutto è mutato; la mia storia e la storia sono orientate verso questa follia. Ed in questo senso non si può negare che questa religione assoluta domina la vita. Per gli uni è Dio rivelato in ogni cosa; per gli altri è Dio nascosto da ogni cosa; per gli uni è Dio sempre più presente, per gli altri è Dio sempre più assente. Ma per gli uni e per gli altri, vedano o non vedano Dio presente, accettino o non accettino la Sua promessa, il centro della vita diventa quella presenza o quella assenza, quell’accettazione o quel rifiuto. Sparisce Dio; ma appunto resta la traccia di Dio che non c’è più; resta, quasi si direbbe, vuoto il posto di Dio; sparisce la promessa, ma resta la traccia di questa promessa di vita eterna: il vuoto che la presenza e la promessa hanno scavato nella vita. La vita resta vuota di un vuoto infinito. Questo è tanto vero, che notare questo fatto è diventato addirittura un luogo comune. Ormai so che c’era Dio, anche se mi dicono che è morto; ormai so che c’era la promessa della vita eterna, anche se non è più creduta. Ormai, si può dire, tutto il problema è questo vuoto. Questo vuoto domina tutta la mia vita e la vita. In questo senso questa religione assoluta è indipendente dall’accettazione o non accettazione degli uomini. Ormai, sta nella storia e gli uomini vi obbediscono sempre, anche quando non l’accettano, perché li domina sempre questa concreta esigenza infinita, questa esigenza di concreto infinito, che prima c’era e ora non c’è più, di cui oramai l’umanità e la creazione non sono più capaci di spogliarsi.
Oramai, dopo che è entrata nella vita dell’individuo empirico e quotidiano la promessa della vita eterna, l’idea della vita eterna diventa, e sembra incredibile, il fine più riposto e più imperativo della vita dell’individuo; non esce più dalla sua coscienza pratica, si connette con le più chimeriche prospettive della sua vita etica, ed entra a orientare, a trasformare, a riempire di sé tutte le soluzioni pratiche e storiche del problema della vita. Si accetta o non si accetta la promessa e la chiamata di Dio; ma se non si accetta, questo fine della vita eterna non sparisce con la non accettazione dall’animo operante, sofferente e sperante dell’individuo. Non si accetta la promessa e si resiste alla chiamata, ma si vuole, ormai quasi si direbbe non si può non volere la vita eterna, si vuole quasi si direbbe solo la vita eterna, cioè la vita vissuta come infinito godimento e momento della vita di Dio. Il desiderio incerto e inappagabile, che era la esigenza della umanità priva di Cristo, resta, ma determinatosi ormai nell’oggetto infinito che ha scoperto, che è stato scoperto e messo innanzi alla vita, cerca di convertirsi in attuale possesso di qualche cosa che sia o equivalga a questo oggetto. Il desiderio della vita eterna resta anche se l’individuo non accetta la chiamata, resta come principio essenziale di azione, come fonte suprema e continua dell’azione. Tutta la storia oscilla e si divide tra un’accettazione e una non accettazione di questa chiamata; ma tutta la storia diventa una ricerca spietatamente incessante, senza tregua, di vita eterna. Posso sentire la chiamata dell’uomo Dio e aspettare cum silentio, nella carità fidente e operosa fino alla sua perfezione che è il sacrificio. Posso non sentire quella chiamata, e invece di avere pazienza e speranza ed aspettare sopportando nel silenzio e nella speranza e nell’aiuto dato agli altri la fuga dei giorni, cercare di realizzare subito e ora nella vita del tempo la vita assoluta. In ultima analisi accettare o non accettare significa sopportare o non sopportare la vita del tempo. Praestolari (attendere) cum silentio, o realizzare immediatamente la salvezza dal tempo e dalla morte. In questa alternativa si svolge la storia dell’individuo (e anche dei popoli).
C’è un poeta italiano, che ha portato a termini di assoluta chiarezza quello che è il confuso stato d’animo di ogni individuo dopo la chiamata di Dio. Leopardi è, si può dire, l’individuo moderno colto nella sua volontà essenziale. Vuole che tutta la vita sia giovinezza (la giovinezza che voleva Leopardi, cioè la vita eterna), un intenso, pieno, illimitato, infinito godimento, non lo è e dispera. Ma dispera, perché non ha la vita eterna. L’individuo Leopardi non si ferma a questa disperazione: la trasforma in poesia celeste. Nemmeno l’individuo comune si ferma alla disperazione: l’individuo comune, che non accetta la chiamata di Cristo, trasforma la sua vita in un cercare che tutta l’esperienza del tempo sia esperienza dell’eterno. Compito e problema paradossale e impossibile; ma non è il solo problema impossibile che presenta la storia dell’individuo! Qui in questo punto anzi tutti i problemi impossibili e i paradossi pratici di questa storia culminano. Trasformare il dolore del tempo in poesia, si può: i poeti ce lo fanno vedere. Ma come trasformare nel mondo pratico il tempo in eterno? E cioè l’esperienza del tempo vissuto in esperienza di eterno vissuto? Nascono tutti i tentativi, che soprattutto gli uomini contemporanei hanno fatto, e che rendono così profondamente patetica, nobile e infantile la storia dell’individuo contemporaneo.