Suicidio e Preghiera (quarta parte)

SUICIDIO E PREGHIERA

 

(tratto da: Giuseppe Capograssi, La vita etica,

Bompiani, Milano 2008, pp. LV + 1340.

Il brano che riportiamo e’ alle pp. 176-216)

 

 

 

 

4.

 

 

Questa storia è una storia di alternative tra la speranza e la felicità. O la speranza che è la speranza cristiana, la sola speranza che ci sia, o una storia di tentativi di sfuggire alla speranza, costruendo sistemi di vita nei quali la vita si trovi ad essere convertita in sistemi di attimi di vita assoluta, di vita che esaurisca in sé tutta la vita possibile. Questi sistemi non sono sistemi speculativi o letterari: sono appunto sistemi di vita, cioè che si esprimono con la vita dell’individuo e degli individui, con i modi di vivere la vita che l’individuo e gli individui hanno congegnato e vanno congegnando, con i modi di durare e anche con i modi di morire, che cercano, attraverso innumerevoli tentativi, di organizzare. E perciò, possono essere seguiti e ricostruiti solo guardando quello che fanno gli uomini, che vivono la più comune loro vita di ogni giorno, e guardandoli là dove e nelle occupazioni e nei luoghi dove vivono la loro più comune vita di ogni giorno; guardando quello che fa l’anonimo individuo che si potrebbe dire statistico; quello che fanno tutti. Possono essere ricostruiti solo sulle testimonianze degli individui che li vivono e li soffrono, mettendosi a spiare i tentativi di soluzione che l’individuo e gli individui fanno con l’azione con cui vivono la loro vita quotidiana; o anche cogliendo le testimonianze, che qualche volta gli individui che hanno capacità e funzione di esprimere gli stati di persuasione vitale di tutti, specialmente i poeti, si lasciano sfuggire quasi a loro insaputa.

Vi sono soluzioni che non sono soluzioni di questo problema. Non è tale la apparente soluzione del piacere, quella con la quale l’individuo dice, ripetendo vecchie formule rinnovate da strani spiriti moderni, «non voglio la felicità, voglio il piacere». Il piacere, come i poeti hanno visto, è un qualche cosa di crudele, che già porta in sé l’amaro del momento in cui cessa: attimo di ebbrezza, non appare che per cessare, e cessa trasformandosi in amari attimi di ripugnanza, di distacco e di noia. Il piacere è proprio la prova più forte della inabolibilità del tempo come fattore essenziale del dolore umano.

E come il piacere, la passione è l’opposto di una soluzione. La passione è proprio la vita che perde la sua misura e si getta con tutta se stessa verso una sola direzione, sopra una cosa presa e chiusa nel tempo, e quindi mobile e sparente come il tempo, mentre pretende di sottrarla a questo movimento, e di sottrarsi a questo movimento. Come il piacere, la passione è l’individuo crudelmente ridotto a non essere altro che una dipendenza essenziale e connaturale: dal mutare della vita, nell’atto stesso che pretende di mettersi fuori e affrancarsi da questo mutare.

Tutto sommato il più profondo e il più significante dei tentativi di soluzione è e rimane il distrarsi, il divertirsi: il distrarsi dal finito perdendosi nello sparpagliamento del finito, quasi si direbbe nel più finito dei finiti. Distrarsi dal finito e quindi anche, e si direbbe soprattutto, dal piacere e dalla passione. È il più felice dei surrogati, perché si può dire previene il problema; non dà tempo alla disperazione del finito di nascere, al dilemma di aprirsi! Vivo, e prima di vivere mi stordisco; mi disperdo e non mi accorgo di essere nel finito e di tutto quello che vorrei e non ho, e di tutto quello che importa il mio vivere e il mio volere. Prevengo, appunto, non do tempo; prima che mi accorgo di essere sul tavolo operatorio, mi getto nella narcosi, cado nella narcosi del divertimento. Mi diverto, appunto, dal finito, e cioè prima di tutto da me stesso. L’opposto del piacere che è un rimanere in me stesso, in uno stato di me stesso che ha per sua essenza il passare, che è fatto di un passare e niente altro; l’opposto della passione che è un legare tutto me stesso a un’altra presenza che perpetuamente minaccia di sfuggirmi e certamente mi sfuggirà. Il divertimento è tale, perché è l’opposto di queste cose: non è piacere e non è passione. Il significato più profondo è al solito il significato più usuale e volgare della parola: divertirsi, spassarsi, fare qualche cosa che è eguale a un non far nulla; passare il tempo; qualche cosa che si direbbe ha per oggetto di far passare il tempo, simulando di fare qualche cosa che permette di nascondere che non si sta facendo nulla, che non si sta facendo altro, sotto una certa maschera, che passare il tempo. Fare qualche cosa che non ha scopo; far nulla facendo qualche cosa.

Il divertimento come spasso, questa cosa così innocua, assume qui tutto il suo valore metafisico: è il surrogato della vita eterna promessa da Dio. E difatti questo profondo significato del divertimento in tal senso è nato ed è apparso chiaro soltanto nei tempi cristiani, perché appunto è il surrogato del richiamo di Dio. Tutti sanno chi ha fissato con precisione questo significato del divertimento, appunto una delle più ardenti anime cristiane della storia (Pascal, Pensieri, ndr). Tutti ricordano quelle pagine nelle quali importante e profondo è l’elenco sia pure esemplificativo dei divertimenti: giuochi di società o guerre; conversare con le donne o attendere alle grandi posizioni politiche: tutto eguale, tutto «bruit» (rumore) e «remuement» (rimescolamento): tutto divertimento.

Questa soluzione è diventata nelle nostre società contemporanee la vera, si può dire la sola, soluzione del problema della vita. È nata nelle nostre società una vera e propria vasta, precisa, elaborata, molteplice scienza ed esperienza del divertimento. Le società contemporanee hanno inventato varie specie di divertimento. Tipico quello consistente nel giuoco dello sport: attività violente, regolate ed inutili, che impegnano anche coloro che stanno a riguardare a un interesse violento ed esclusivo per una cosa che non ha in sé nessun interesse per nessun fine della vita, ma ha il solo interesse e il solo fine di distrarre da tutti gli interessi e da tutti i fini della vita. E in questo senso questo giuocare e veder giuocare diventa in sostanza l’interesse massimo e la vera religione della vita; tutta la vita dell’individuo, per quel tanto di libera spontaneità disinteressata che riesce a realizzare si concreta in questo interesse del giuoco: questo interesse diventa il solo puro interesse ideale di queste vite: tutto il resto tende a questo. È come per il bambino ed è l’opposto del bambino. Per il bambino il giuoco è la sua vita stessa nella sua immediatezza, la sua vita immediatamente vissuta. Qui il giuoco è l’interesse profondo della vita come per il bambino; ma non è la vita che è vissuta nel giuoco, è invece la vita che è diventata, divertita da se stessa, un giuoco. Nel bambino giuoco e vita sono la stessa cosa. Qui invece il giuoco rimpiazza la vita. Il vero interesse della vita è questa serie di piccole avventure violente, questa serie di partite, che non hanno altro scopo che di essere scontri perfettamente eguali gli uni agli altri, perfettamente inutili, di una inutilità rigorosamente ripetuta, con una ripetizione così rigorosamente monotona che, se gli uomini potessero staccarsi dalla loro epoca e vederla nel tutto, come dall’alto si riguarda un nido di insetti, quest’epoca per questo suo giocare e vedere giocare divenuto l’interesse massimo della quasi totalità dei viventi, farebbe spavento.

Ora qui in certo modo il divertimento è veramente se stesso: quasi un vincere il tempo, poiché in quanto mi assorbo in quell’inutile spettacolo io vivo fuori di me in una specie di esteriorità così totale di attenzione, e questa esteriorità diventa, si può dire senza paradosso, talmente tutta la mia interiorità, che in questo esteriorizzarsi l’individuo sperimenta una specie di facsimile dell’interno, perché appunto il sentirsi vivere nel lento svolgersi del proprio destino è soppresso.

Ma questo divertimento dello sport e gli altri giuochi simili, per quanto efficace, è momentaneo. Lascia larghi spazi alla vita dell’individuo. Ha bisogno perciò di essere completato. E si è escogitato nelle società moderne, e si è perfezionato in quelle contemporanee, un più serio e analogo divertimento, che riesca effettivamente a coprire quegli spazi. Con profonda intuizione si è colta la vita dell’individuo, nel momento e nel mezzo col quale essa si forma e si manifesta: si è preso il lavoro e si è convertito il lavoro nel più potente dei mezzi di divertimento. È forse il punto decisivo di questa trasformazione del concreto in un sistema di divertimenti. Il lavoro è l’individuo stesso, nella sua forza e nella sua indigenza, nella sua fede e nel suo coraggio, che realizza se stesso creando con le sue proprie mani materiali il suo mondo, le situazioni concrete della sua vita, il suo destino quotidiano. Un operaio dell’800, che è stato uno dei più grandi spiriti dell’800, ha definita (e solo un operaio poteva definirla) questa profonda connessione tra lavoro e vita: «Le travail est avec l’amour, la fonction la plus secrète, la plus sacrée de l’homme: il se fortifie par la solitude; il se décompose par la prostitution». («Il lavoro è, con l’amore, la funzione più segreta, più sacra dell’uomo: si fortifica con la solitudine, si deteriora con la prostituzione»). E appunto si è soppressa nel lavoro proprio questa parte segreta e sacra: si è staccato l’uomo dal lavoro e il lavoro dall’uomo: una vera e propria prostituzione. Il lavoro è diventato energia o forza per ottenere risultati tecnici e l’uomo l’indifferente portatore e supporto di questa forza. Per le trasformazioni e le invenzioni delle tecniche il lavoro si realizza e si può realizzare solo in vastissimi complessi di organizzazioni, di fabbriche, di impianti, nei quali l’individuo si trasforma proprio in portatore di forza, in elemento che necessariamente per corrispondere alla propria funzione deve sopprimere quanto più è possibile la propria individualità, e tendere a ridursi a pura e semplice applicazione di energia, soprattutto di attenzione sopra un compito minuto, preciso, immutabile. E questa immensa organizzazione meccanica, che è come il laboratorio di trasformazione dell’individuo da individualità vivente in supporto di forza, questa organizzazione trasforma la vita sociale in totale incessante lavorare per produrre cose che la fantasia o il capriccio escogitano continuamente, e che mutano continuamente, e che sono in sostanza anch’esse inutili alla vita semplice ed essenziale dell’individuo, come è stato tante volte riconosciuto, ma che servono a questa vita in quanto incatenano l’individuo alla estenuante e incessante catena della loro produzione. Questa catena, o attraverso la inesorabile esigenza della unità stessa della vita economica, o attraverso la inesorabile coazione dello Stato, tiene avvinte tutte le vite. Si è deplorato e si deplora tutto questo, e il difetto fatale di tutto questo: sono geremiadi inutili. Tutto questo è una vera soluzione del problema profondo della vita, così come si è aperto con Cristo. Tutto questo è un tentativo di trasformare la vita del tempo in una vita dove, se non si consegue l’eterno, si consegue almeno che non si senta il vivere nel tempo. Poiché a me immesso nel meccanismo della organizzazione e della fabbrica, diventato elemento indispensabile e complementare della macchina, tutta la mia vita è coattivamente (per coazione interna e sempre più per coazione anche esterna) impegnata in qualche cosa di preciso, di particolare e di esteriore, sono tutto fuori di me stesso; non c’è luogo né a pensare né a sognare né a sentirsi vivere. Il fuori di me dei filosofi diventa tragicamente vero, ma è un fuori di me che diventa stranamente il mio me stesso. Sono forzosamente esteriorizzato nell’atto stesso del mio lavoro: sono esteriorizzato in quanto tutto concentrato in una cosa esteriore a me, che io debbo seguire e servire. Intanto non mi sento vivere, non penso, non faccio che cercare di trasformarmi in quell’elemento e complemento che debbo essere, e che a poco a poco effettivamente divento. È tutto questo un vero, efficace, ingegnosissimo divertimento, a cui il Pascal non aveva pensato; il più ingegnoso, perché coincide con una mia esigenza di vita, e per soddisfarla mi trovo fuori dal mio me stesso, dal mio problema della vita, dal mio destino, per la più automatica, e quasi si direbbe la più naturale delle vie. E la soluzione è tanto più perfetta, in quanto viene a integrare con una assoluta esattezza il sistema di divertimenti, dei giuochi che io trovo in atto e pronto, quando esco fuori dell’organizzazione nella quale lavoro.

Forse in questo sistema composto di un duplice divertimento, il giuoco e il lavoro, troviamo la vera soluzione moderna del problema del destino dell’individuo, aperto e tenuto perennemente aperto da Cristo. L’individuo non sente più il tempo del suo vivere; nel rapimento di un duplice processo di completa esteriorizzazione (lavoro più giuoco); e questo individuo è proprio l’individuo contemporaneo, come si trova in tutte le strade e in tutte le case delle nostre società. Se a questo si aggiunge anche un regime politico che dispensa l’individuo, sia per vie coattive, sia per vie automatiche, dell’occuparsi dei problemi politici (del vivere in comune), perché altri lo fanno per lui, il quadro è quasi perfetto, il divertimento è quasi perfetto.

E tutto questo si perfeziona con quell’ulteriore e più vincolante giuoco che è la guerra. A un certo punto i popoli «si annoiano», come fu detto da un poeta per il proprio popolo, con una frase che sembrò occasionale, ma che è carica di valore metafisico. Si annoiano, cioè non vogliono (non possono) sopportare la vita ordinaria, la pace, il confort dei sicuri quadri, con cui la società protegge la vita degli individui e quindi la mette troppo assolutamente di fronte al suo problema, al suo destino, alla sua esigenza di vita eterna; e optano per il più energico divertimento, e cioè per la guerra e in genere per le rovine e le distruzioni dei quadri della vita ordinaria. Il vero divertimento è qui, far saltare per aria i quadri e gli assetti ordinari della vita; e gettare la sorte di ognuno e di tutti in una specie di partita più tremenda ma analoga a quelle dello sport; in una partita nella quale il nudo e tacito problema della vita e del destino, che le epoche tranquille attraverso la noia della vita quotidiana rendono trasparente, invece si nasconde, poiché individui e popoli sono accaparrati dalla violenta distrazione del pericolo e dal giuoco terribile delle sconfitte e delle vittorie.

(Partite dello sport e della guerra con i loro clamori, incessante pulsare dei macchinismi grandiosi dell’industria con il continuo risucchio in sé delle esistenze umane, masse urlanti nelle piazze, folle che si assiepano in tutte le strade: tutto cerca di coprire l’esile voce di silenzio con la quale Dio batte alla porta del cuore dell’uomo).

Questi divertimenti dell’individuo, il diventare elemento di un meccanismo crudele e gigantesco, il distrarsi nelle avventure del giuoco e della guerra, non sono che un resistere alla tentazione di disperare del finito, un allontanare il momento della disperazione in un modo, il più strano che ci sia, ma che è il solo possibile. In sostanza, quale è il segreto di questi sistemi se non questo, di cercare di far dimenticare all’individuo se stesso? In sostanza tutto il segreto è di ridurre l’individuo a diventare quello che deve diventare, perché il divertimento sia perfetto; un complemento tecnico di un immenso meccanismo, una voce di una immensa folla, un soldato di un immenso esercito. In sostanza tutto il segreto è di far cessare l’individuo di essere un’individualità vivente, di essere, secondo la vecchissima parola, così desueta, così dimenticata e perfino così derisa, un’anima, e di farlo diventare una funzione, oppure un complesso di atti, secondo la definizione dell’individuo dato da filosofie moderne, le quali interpretavano perfettamente così (ma non lo sapevano!) lo spirito e il sistema dei divertimenti moderni. E questa trasformazione operano questi divertimenti, i quali hanno necessariamente tutti forma collettiva: ma la collettività è, più che la loro forma, la loro sostanza stessa, poiché, battuto e, quasi si direbbe, come si fa per l’atomo, bombardato il nucleo vitale e unitario dell’individualità dell’individuo, è sparito il soggetto della vita, e i soli soggetti della vita diventano le collettività, le forme collettive della vita: l’individuo è superato, incluso, assorbito in una forma di vita che lo tiene fuori da se stesso e lo assorbe in una specie di rapina. La vera vita è la vita della collettività. Chi vive è la fabbrica, la squadra, la guerra: specie di individualità mistiche e trascendenti che vivono per loro conto e hanno la loro vita. L’individuo non ha più il suo tempo, perché la vita è della collettività, che include in sé la vita degli individui, e perciò il tempo è della collettività. Chi nasce, chi dura, chi muore è la collettività. L’individuo arriva a conseguire una specie di immortalità, che è la più povera che ci sia, perché è l’immortalità di una vita che non è più sua.

L’individuo si presta a questa trasformazione, a questo suo sfumare e sparire nel complesso delle attività in cui è preso. Sembra che l’individuo abbia paura di se stesso. Come l’Innominato, sembra che l’individuo dica «no, la notte», cioè il momento in cui è solo, in cui sia pure per dormire (o per morire) è fuori di tutto questo fracasso dei divertimenti. Paura di trovarsi solo, a faccia a faccia con se stesso. E perciò accetta tutto questo fracasso e questa specie di frattura. In ultima analisi tutti questi divertimenti sono tentativi di non vivere; per non disperare del finito e tentare di trovare nel tempo la vita eterna riduco la tela della mia vita a una misura minima; restringo la mia vita a un minimo, a quella parcella di vita che consiste in quel tanto di vita che riesco a vivere nella collettività del giuoco, della fabbrica e della guerra. Vivo per quel tanto che partecipo a questi giuochi nei quali sono preso. In ultima analisi il problema della vita eterna lo risolvo cercando di sopprimere me stesso proprio nel mio essere me stesso.

 

Seguira’ quinta parte ( di 7): 

Suicidio e Preghiera (quinta parte)

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