Se andiamo oggi alla grotta di Sant’Antonio nel deserto egiziano – una semplice fessura nella roccia – solo qualche centinaio di ripidi scalini ci separa da un cenobio di oltre cento monaci che accoglie ogni giorno migliaia di pellegrini: solo la vastità del deserto attorno non è mutata nel corso dei secoli, così come la limpida fonte di acqua che quasi miracolosamente sgorga dalla roccia, oggi come milleseicento anni fa.

Sacro Speco di Subiaco
Qualcosa di analogo – seppure in un ambiente naturale completamente diverso e con la presenza di una comunità oggi meno numerosa –lo abbiamo al Sacro Speco di Subiaco, santuario edificato a custodia della grotta in cui san Benedetto visse i suoi primi anni da eremita, ricevendo periodicamente del cibo da un monaco di nome Romano, come racconta Gregorio Magno nei suoi Dialoghi: “dal monastero di Romano non era possibile camminare fino allo speco, perché sopra di questo si stagliava un’altissima rupe; Romano quindi dall’alto di questa rupe, calava abilmente il pane con una lunghissima fune, a cui aveva agganciato un campanello: l’uomo di Dio sentiva, usciva fuori e lo prendeva”.
Se invece percorriamo a piedi le strade del monte Athos, il “Giardino della Madre di Dio”, centro spirituale del monachesimo ortodosso, dobbiamo inerpicarci fino a improbabili skiti abbarbicate sul monte per cogliere qualcosa dell’atmosfera che doveva pervadere tutti quei luoghi prima che i poderosi insediamenti monastici ne facessero un arcipelago di cittadelle di Dio sulla Santa Montagna. […]

Eremo di San Girolamo al Monte Cucco – Pascelupo (PG)
Altri luoghi, invece, da rifugio inaccessibile di un singolo eremita estremo sono diventati nel corso della storia monasteri di una certa consistenza, pur sempre austera e ritirata, come l’eremo di Monte Cucco a Pascelupo, eremo camaldolese per iniziativa di Paolo Giustiniani: testimonianza di audacia ascetica e di serena consapevolezza che, per fare del deserto un giardino, il primo luogo da irrigare è il proprio cuore, attraverso l’assiduità con Dio nella preghiera.
[…] E che dire di isole un tempo selvagge come Lerins e Saint Honorat di fronte a Cannes, scelte per la loro solitudine da eremiti provenienti dall’Egitto, popolate poi da monaci richiamati lì da tutta Europa, e che ora vedono il monastero accerchiato da flottiglie di natanti e da flussi vacanzieri che a volte di selvaggio hanno i modi e non più la natura.

Il Monastero Panagia Hozoviotissa ad Amorgos
Se poi ci spingiamo fino all’Egeo e raggiungiamo Amorgos, la più orientale delle isole Cicladi, restiamo semplicemente abbagliati dal monastero della Panaghia Chozoviotissa, uno squarcio di bianco aggrappato alla rupe dove negli ultimi anni monaci provenienti da diversi paesi hanno saputo riprendere il testimone dei predecessori. Così il canto delle melodie bizantine ha ripreso a echeggiare nella chiesa ricavata da un antro della rocca che domina l’isola.
Ciò che accomuna tutti questi luoghi – e li differenzia da altre ascesi estreme, come quelle dei monaci stiliti, impassibili sulle loro alte colonne di pietra – è proprio la capacità di irradiamento dei primi solitari che hanno scovato luoghi reconditi per essere “soli con il Solo”.
ENZO BIANCHI, monaco nel monastero di BOSE (Biella)