ANIME TRANSUMANTI

Ciro Di Marcantonio è il promotore di questo sito.

Il 21 settembre di quest’anno ci ha lasciato e chi, insieme con lui, ha contribuito a tenere aperto questo canale di informazione e approfondimento su Fra’ Pietro da Morrone/Celestino V, vive con sbigottimento la sua scomparsa ma anche con l’animo aperto alla certezza del suo approdo a “terre nuove e cieli nuovi” (Apocalisse 21, 1).

Anche se viene a mancarci il suo inesauribile entusiasmo, sentiamo il dovere di continuare a camminare sul solco da lui tracciato.

Intanto offriamo un ricordo di Ciro, sia pure molto parziale perché non si può racchiudere una vita in poche righe. E invitiamo chiunque lo abbia conosciuto e frequentato, a integrare questo scritto con le sue riflessioni e ricordi.

ANIME  TRANSUMANTI

“La differenza rilevante per me non passa tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti, ovvero tra coloro che riflettono sui vari perché e gli indifferenti che non riflettono”. (Norberto Bobbio)

Ho sempre immaginato la scomparsa di una persona amica come l’abbattimento di un albero all’interno di un bosco in cui anch’io mi trovo a vivere e che verrò a mia volta abbattuto. Questa persona speciale con cui ho camminato a lungo, non per perdere tempo ma per scavare nelle nostre coscienze, si chiama Ciro.

Si dichiarava non credente, ma molto presto ho capito che la sua è stata una vita alla ricerca della Verità, perché insoddisfatto di verità definite una volta per tutte.

E allora, tacitamente, abbiamo scelto di improntare il nostro rapporto, oltre che sul rispetto, sull’approfondimento di una spiritualità che si nutre di interiorità e, soprattutto in questi ultimi anni che ha vissuto inchiodato a un letto, sul confronto con l’esperienza del limite e della morte.

Fin dal primo momento abbiamo stipulato il tacito accordo di rispettare alla lettera il secondo comandamento “Non nominare il nome di Dio invano” perché quello che ci stupiva non è la nostra difficoltà a parlare di Dio, ma la nostra difficoltà a tacere di Lui. E più volte siamo tornati sull’episodio del Vangelo in cui un padre chiede a Gesù la guarigione del figlio, e a Gesù che gli domanda “Ma tu credi che io possa farlo?”, risponde con candore: “Io credo, ma tu aiuta la mia incredulità”.

Ciro ed io siamo stati sempre “inquieti”. Ci ripetevamo continuamente che se si è credenti, bisogna imparare a inquietarsi della propria fede, se non credenti, a inquietarsi della propria non credenza. Solo così si cresce, nell’uno e nell’altro versante.

FEDE COME RICERCA

Abbiamo camminato insieme, talvolta sotto un sole splendente, altre volte sotto una pioggia battente e raggelante o, più spesso, in mezzo a una nebbia fittissima che velava la strada. Ma abbiamo sempre camminato, con un pizzico di incoscienza, senza sederci mai ai bordi del sentiero, indolenti e scoraggiati, memori dell’avvertimento di Socrate, che “una vita senza ricerca non merita di essere vissuta”.

E in questa ricerca ci siamo imbattuti, da sponde apparentemente opposte, nell’episodio biblico in cui il profeta Elia incontra il Signore (1 Re, 11-12).

Non era nel vento impetuoso, non nel terremoto e nemmeno nel fuoco divoratore, ma nel mormorio di una brezza leggera. Era lì che si celava.

Ma quella “brezza”, quel “venticello leggero” non ci convinceva. E nelle nostre ricerche da profani ma appassionate, siamo arrivati a capire che quel “ruah” di cui parla la Bibbia è il respiro, alla base della vita. L’Eterno è la Vita.

Signore, dove sei? Come posso trovarti? Tante volte, nei momenti drammatici della mia vita, sono stato tentato di gettare la spugna, pensando che Dio avesse altro di più importante da fare che soccorrere la mia esistenza sfibrata, sfiduciata.

“Sono stanco”, mi ha detto Ciro in uno degli ultimi nostri incontri, egli sempre sicuro di sé, scanzonato, positivo nelle sue visioni. E allora gli ho portato un foglietto su cui avevo trascritto alcune righe di una preghiera di Davide Turoldo: «Signore, hai mai desiderato morire? Sai cosa vuol dire non farcela più, perché il male è troppo grande, e amaro, da renderci tanto infelici? Dice un midrash antico che a volte tu fai, a sera, delle nostre preghiere un tappeto disteso nel cielo e sopra tu pure ti prostri e preghi, e questa sarebbe la tua preghiera: “Di tanto male vi chiedo perdono, uomini… Sei proprio un Dio fatto in tutto simile a noi”».

Non ha avuto il tempo di dirmi cosa ne pensasse. In altri momenti ci avremmo passato delle ore a rimpallarci le opinioni. Ma sono certo che è questo il Dio che piaceva a Ciro, il Dio del Getzemani, abbandonato dagli amici, deriso, preferito a Barabba da un popolo che aveva beneficato in tutti i modi, ucciso mediante crocifissione, l’esecuzione capitale più umiliante e dolorosa al tempo dei romani.

IL SILENZIO

Altro argomento di discussione tra di noi era sicuramente l’importanza del silenzio, corollario alla solitudine imposta dalle circostanze, come nei suoi ultimi anni, o vissuta per scelta.

Ricordo quei lunghi momenti di silenzio, a guardarci negli occhi per cercare insieme la soluzione a un interrogativo che ci eravamo posti. Sì, perché il silenzio è tacere per affinare la disponibilità ad ascoltare. Convinti del valore del richiamo degli antichi greci, per i quali il sapiente non rompe il silenzio se non per dire qualcosa di più importante del silenzio.

E andavamo spesso con il pensiero ai Dakota, popolo nativo americano ora annientato dalla cosiddetta “civiltà” occidentale. Per quel popolo il silenzio era eloquente. Nella disgrazia e nel dolore, nei momenti tragici della malattia e della morte, per loro il silenzio era segno di stima e di rispetto.

LA TRANSUMANZA

Le nostre vite, quella di Ciro e la mia, sono state due vite nomadi, in perenne cammino. Per questo, da anni, egli stava lavorando alla stesura di un libro che voleva significativamente intitolare “Anime transumanti”. Non ha avuto il tempo di condurre a termine questo suo sogno.

I pastori sono sempre stati nei suoi pensieri, la loro vita a custodia di un gregge, ogni giorno sui tratturi, diretti verso una meta: pascoli nuovi per le loro pecore. Il cammino, il sole, la pioggia, il riposo insieme a quello degli animali e un cibo frugale fatto di erbe selvatiche, di pane e di formaggio come nutrimento essenziale.

Per sottolineare l’importanza che egli dava ai pastori, mi ricordava spesso il ritratto che, per conoscenza diretta, ne aveva tracciato il nostro grande conterraneo Ignazio Silone. «Mi viene in mente quel pastore che ho conosciuto… Non si sentiva solo quando stava giorni e giorni per i pascoli della montagna, lontano da tutti, perché era ancora insieme a se stesso».

Ciro si sentiva affine alla vita e alla solitudine “gremita” di quel pastore, anche se “essere insieme a se stessi” è un’arte molto difficile.

FRA’ PIETRO DA MORRONE

«Come scrisse san Bernardo, vi sono degli uomini che Dio rincorre, perseguita, ricerca e, se li trova e li afferra, li strazia, li fa a pezzi, li morde, li mastica, li ingoia e digerisce e ne fa creature del tutto nuove».

Queste parole riportate da Ignazio Silone nel suo poco conosciuto “Memoriale dal carcere svizzero” sono la fotografia esatta di Fra’ Pietro da Morrone/Celestino V, persona verso cui Ciro nutriva una particolare venerazione e rispetto. Era stato invaso da quest’uomo santo e misterioso, lui non credente, fino a dedicargli gran parte della sua vita con il restauro di un rudere verso la cima del Monte Morrone, l’eremo di Santa Croce, frequentato da Fra’ Pietro. Ha inoltre curato la pubblicazione di tre opere fondamentali e introvabili su quest’uomo che ha illuminato il suo tempo con l’esempio di vita, culminato nella rinuncia al papato.

Altra dimostrazione del suo attaccamento al monaco eremita eletto papa è l’apertura di questo sito web, che Ciro ha fortemente voluto.

Mi azzardo a definire Fra’ Pietro un “eretico”. Eretico è colui che si separa, perché ha scelto (dal greco airèo) un’altra strada, è colui che per seguire la propria coscienza è costretto a disobbedire.

È senz’altro per questo che Celestino V è entrato visceralmente nella vita di Ciro. Lo ha sempre vissuto come uno “fuori dal coro”. Esattamente come lui.

Con l’animo e la mente ancora in subbuglio per la morte di Ciro, ho cercato di offrirne alcune timide e incomplete pennellate. Questo fratello che mi ha preceduto nel regno del Padre, me lo ritrovo dentro come fonte sorgiva, cui attingo pensieri, sentimenti, coraggio. A lui devo tanta parte di me.

E ho scoperto, dopo essere stati fratelli non di sangue ma per i comuni ideali, di continuare misteriosamente a vivere insieme come “anime transumanti”.

Pasquale Iannamorelli

Un commento:

  1. Che belle parole…descrivono esattamente l’anima di Ciro. È stato sempre una persona profonda e mai scontata, i suoi silenzi, che spesso facevano sentire a disagio, erano in realtà ricchi di tante parole. Perenne provocatore, si divertiva ad elevare il livello di qualsiasi genere di conversazione, tanto che ogni volta ti lasciava con un nuovo interrogativo, quasi a non voler banalizzare il senso delle cose. Dal suo profondo sapere, si è sempre mostrato come un padre disponibile, aveva sempre un giusto consiglio da dare e adorava tramandare i suoi insegnamenti frutto della sua profonda cultura e delle sue innumerevoli esperienze di vita. Custodirò gelosamente il suo ricordo e tutti i suoi insegnamenti. Ciao Ciro! Simona

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